di Stephanie Quirk: “Il vero significato della Terapia Yoga”

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di Stephanie Quirk: “Il vero significato della Terapia Yoga”

 

Il presente discorso di Stephanie Quirk è stato trascritto e tradotto dalla conferenza tenutasi al Marrickville Yoga Center::si può ascoltare su You Tube – https://www.youtube.com/watch?v=qiD7ZDdKa0c.

 

– Grazie a tutti per essere qui stasera. Non ho intenzione di tenere una vera conferenza, vorrei più che altro attenermi al concetto della terapia yoga e al suo vero significato. Penso che molti, in particolar modo chi frequenta questo centro, sappia che io mi occupo di terapia yoga, di classi terapeutiche e di insegnamento di terapia yoga agli insegnanti.

 

Qual è il motivo che mi spinge a farlo? Ho trascorso venti anni in India, lavorando e studiando all’Istituto (Ramamani Memorial Iyengar Yoga Institute di Pune, N.d T.) e come forse saprete, il corso di terapia yoga è aperto a tutti, tutti vi possono partecipare.

 

In realtà, solo recentemente sono riuscita a cogliere il vero significato della mia esperienza. Ho avuto testimonianza di molte, diverse cose in quei venti anni a Pune ed ho avuto bisogno di tempo per riflettere su tutta la mia esperienza; una di queste riflessioni mi ha portato a ritenere che tutta la formazione di insegnante o dell’insegnamento (dello Yoga Iyengar) inizi proprio nelle classi terapeutiche: inizia quando gli insegnanti arrivano nelle classi terapeutiche, anche se in realtà non è dato loro far niente: se ne stanno in piedi, aiutano portando i bolster, le coperte ecc… Ma è proprio da quel momento che inizia il loro apprendistato di insegnanti. Nell’occidente abbiamo criteri completamente diversi, vi è una certa limitazione di chi possa assistere o meno alle lezioni di yoga terapia.

È dunque piuttosto interessante che all’Istituto si ritenga che debba invece partire da lì l’inizio della formazione di un insegnante, in realtà proprio dalla classe terapeutica. Io a quel tempo ne ero completamente all’oscuro.

Personalmente mi sono formata in arti visive e in infermieristica psichiatrica, niente a che vedere con il ritrovarmi in quel corso di terapia, di stare lì ad osservare e a partecipare all’interno di quella grande aula. Mi trovavo esattamente dentro un evento, anche piuttosto imbarazzante perché non avevo la minima idea di cosa stesse succedendo. Ci sono voluti anni per ricollegare tutte quelle cose apparentemente scollegate fra loro, ma che mi hanno permesso di comprendere la ragione di quello a cui avevo assistito.

Cercherò di parlare stasera del motivo per cui, secondo me, siamo interessati alla terapia yoga, ne siamo così affascinati; desidero anche sottolineare la differenza rispetto a come viene concepita e affrontata in Occidente. Mi trovo ora ad avere quel tipo di esperienza, piuttosto strana, in cui ci si trova in un luogo mentre si fa una riflessione su un evento che nasce altrove. Ora sono in Occidente e sono testimone di come la terapia yoga sia qui concepita, in manieramolto diversa rispetto a quella che è stata la mia esperienza degli ultimi venti anni.

 

Anche all’interno dello stesso contesto, dello stesso sistema yoga, l’intero approccio è abbastanza diverso. Quindi, questo è il succo di quello di cui vorrei parlarvi, è proprio il contrasto tra le due diverse concezioni. Alcune di quelle cose che, forse provengono dal mio apprendistato, possono servirci per individuare cosa sia l’essenziale, potremmo iniziare a sceglierle e usarle nella nostra pratica affinché sia più adatta e con una maggiore creatività proprio rispetto a tutto il percorso terapeutico.

 

Vorrei partire da una persona che necessita di terapia, di yoga e di terapia yoga. Per questa persona la terapia yoga è una porta verso la liberazione. Boom! Sì. è un’enorme dichiarazione,: si tratta di una porta per la liberazione. Fondamentalmente lo è, sia per chi aiuta un paziente che si trova in un percorso terapeutico, sia per la persona stessa che riceve la terapia. Non mi piace molto il termine ‘paziente’, ma coloro che la richiedono, vengono alla classe terapeutica come pazienti e per loro è qualcosa di sconosciuto, comunque è davvero una porta per la loro liberazione, anche se ne sono inconsapevoli.

Questo è l’effetto che lo yoga ha per noi, specialmente qui nella società occidentale. Non si tratta di una forma di religione, ma per tante persone è spesso il primo passo verso un percorso di liberazione o un percorso spirituale, per molti è un’apertura verso la spiritualità.

C’è un termine, ma non voglio usare troppi termini sanscriti, che ha una sorta di pertinenza personale per me e che è la parola upāya kauśalam.

Ora, la parola kauśalam, se qualcuno ha studiato yoga, lo si incontra nel Bhagwad Gita[1] e si parla di karmasu kauśalam, azione di buon auspicio, abilità nell’azione. Upāya kauśalam significa abilità nella tecnica per ottenere la libertà.

Quando ci si occupa di terapia yoga, ci si occupa di questo. Se si tratta di angoscia, si libera la persona da questa, dal suo dolore; si aiutano le persone a liberarsi dai vari disagi che li affliggono; esiste il mezzo per liberarli da quelle angustie, da ciò che li opprime. Si tratta quindi di una forma di upāya kauśalam.

Personalmente, era questo l’aspetto che più mi affascinava. Fu come un fulmine a ciel sereno perché fino a quando mi sono reacata a Pune, non sono mai stata particolarmente interessata alla terapia yoga. Andai da Geeta e da Guruji e rimasi affascinata dalla loro abilità! Anche io volevo diventare abile, ero assetata di conoscenza e sentivo di non voler perdere neanche una goccia di quanto osservavo. Dopo il mio primo viaggio a Pune ero già pronta a ritornare per l’immensità del loro sapere. Sembrava che avessero una loro personale capacità di comprendere l’umanità, era la cosa che più mi avvinceva.

Non sto dicendo che in Occidente non vi siano persone con la capacità di comprendere l’umanità o che in Occidente non vi siano discipline dedite alla comprensione e all’aiuto dell’umanità in tutte le sue pene. Si trattava piuttosto del modo in cui la famiglia Iyengar riusciva a gestire le persone, era questa cosa che trovavo affascinante e ne ero colpita, ed esattamente come me. molti altri insegnanti che vogliono continuare ad imparare sempre di più.

 

Qui in Occidente gli insegnanti sono inevitabilmente molto attirati dalle conoscenze di anatomia o fisiologia perché la nostra comprensione della terapia Yoga è quello che risulta, che appare, sembra qualcosa di molto vicino alla fisioterapia, qualcosa di molto vicino alla medicina. Quello che accade qui in occidente, e che ho visto spesso in tutto il settore della terapia Yoga, è che questa comincia ad avere quella connotazione più vicina ad un modello medico.

Molti intendono imparare meglio l’anatomia o i migliori adattamenti possibili per le posizioni. Vedo su Internet ad esempio molte foto di come si possono adattare alcune posizioni attraverso una panca rotonda, ad esempio per Viparīta Daṇḍāsana. Non ha senso. Oppure sono affascinati dai diversi modi di sistemare i supporti e pensano che la terapia yoga si riduca a questo. Queste persone pensano che ul’uso di tali adattamenti o aggiustamenti sia di per sé terapia yoga. Talvolta ci si imbatte anche in domande del tipo: quale sia la sequenza migliore per un particolare tipo di problema o una malattia: “qualcuno conosce la giusta sequenza per…?”.

Vi voglio raccontare una cosa che mi è successa tempo fa. A Pune qualcuno, credo proveniente dagli Stati Uniti, aveva riunito tutte le lettere che B.K.S. Iyengar una volta aveva scritto per tutti gli insegnanti sparsi in giro per gli Stati Uniti; aveva scritto dei consigli per i loro studenti. Rispondeva a delle domande che gli avevano sottoposto e nella risposta vi erano delle linee guida. Una lettera con linee guida ha frasi messe in forma sequenziale, punto per punto. Quindi vi era una sequenza quasi come fosse una prescrizione medica. Quello che accadde fu che i membri dell’associazione di quel paese pensarono bene di trascrivere la sequenza e di riconsegnarla alla famiglia Iyengar come un manuale di terapia yoga. Quando Iyengar ricevette la sequenza la prese e disse: “spazzatura, semplice spazzatura”! Si trattava delle sue lettere. La sua risposta nel leggere le sue stesse lettere che tutti i suoi studenti gli avevano raccolto e resituito, trasportate oltre oceano e riconsegnate in un libro a spirali, ben organizzate e compilate, non era altro che spazzatura. Era furioso. ” Possibile che non siate capaci di vedere niente? Non capite niente”? Non si aspettava un comportamento simile da quegli stessi studenti che avevano studiato con lui da più di venti anni. A quel tempo frequentavo Pune solo da quattro o cinque anni, mentre costoro avevano già cominciato a studiare con lui molti anni prima, tuttavia la sua risposta fu che non si trattava altro che di spazzatura. Penso che quel libro sia rimasto forse sotto la scrivania di Pandu o su uno scaffale ricoperto di polvere e non sia mai stato più ripreso da nessuno.

 

Tutti conosciamo l’esistenza delle sequenze. Certo che le sequenze sono importanti! Ma solo se conosci il loro significato. Certe volte è più importante capire cosa non contengono rispetto a cosa includono. Si può cominciare a farsene un’idea quando studiamo quali siano le posizioni che non vengono elencate in una sequenza per una determinata persona e questo ti dà una chiave di lettura più efficace su come lavorare.

 

Quando arrivai a Pune vi erano inizialmente due classi terapeutiche, poi tre (a settimana), in tutta la stanza non c’era neanche un pezzo di carta scritto. Questo era prima che Prashant avesse l’incidente al braccio. Nella classe terapeutica c’erano solo Geeta e Guruji e forse Pashant. Sapevano perfettamente quale lavoro si dovesse applicare ai loro allievi, che conoscevano uno per uno. E vi dirò anche che per settimane le persone ricevevano sempre le stesse posizioni da eseguire. Nella stessa stanza vi erano dalle venti alle trenta persone, loro sapevano esattamente cosa ciascuna dovesse fare e conoscevano tutti. Nemmeno un pezzo di carta.

C’eravamo noi, gli assistenti, cui veniva detto cosa dovessimo fare, quali posizioni la persona dovesse fare, ma poi ci abbandonavano alla nostra scelta, per poi tornare, aggiustare e riandar via. Poi tornavano da noi al momento giusto per dirci nuovamente quale posizione dovesse far seguito. E nemmeno un pezzo di carta.

Le istruzioni scritte arrivarono quando nacque maggior interesse da parte degli assistenti e ancor più degli assistenti locali, o degli insegnanti locali, della gente, la gente indiana che viveva lì e si era interessata di più allo yoga e alla terapia yoga. Ha iniziato a crescere il numero di persone che arrivavano, e così è cresciuto anche l’interesse. Altrimenti si rivolgevano alla popolazione di occidentali molto volenterosi e appassionati che non sapevano nulla. Ma man mano che l’interesse cresceva, era necessario che gli Iyengar scrivessero il programma assegnato agli studenti in modo che questi potessero essere lasciati almeno con alcuni degli assistenti meno esperti per andare avanti. Questo è il motivo per cui è iniziato. Prima di allora, nessun pezzo di carta.

Così ci siamo ritrovati con un qualcosa che si è sviluppato all’interno di un sistema chiamato “sequenze” ed è una lista che va da un punto ad un altro.

Detto questo, non voglio sminuire l’importanza delle sequenze perché una delle cose che ho visto è che il signor Iyengar, molto abile nel vedere la natura di un problema e nel riconoscere quasi immediatamente quale fosse per poterlo poi affrontare, la settimana successiva ricominciava con lo stesso studente, spesso con le prime quattro o cinque posizioni, esattamente le stesse. E sarebbe stato solo verso la fine della sessione che avrebbe effettivamente cambiato una cosa.

Quindi, primo: memoria fenomenale del signor Iyengar, ma secondo: non è che senza quella sequenza, non si sarebbe potuto affrontare il problema specifico. Quindi, non sto dicendo che si può fare tutto in un giorno. È molto chiaro quale fosse il programma e il processo di Iyengar: egli faceva in modo che lo studente si abituasse al processo, non solo per avere un aiuto concreto, ma proprio come ogni principiante assoluto, il suo corpo, la sua mente, la sua intelligenza dovevano essere in grado di accettare le posizioni per iniziare. Solo più tardi, dopo diverse settimane, guardando indietro allo studente, ci si rendeva conto che il signor Iyengar stava davvero mirando al punto, al problema di quello studente. Quindi, l’intero processo era di permettere allo studente di abituarsi alle posizioni, di essere in grado di accettarle e assorbirle, e non di “iniettarle” in lui. La cosa importante era che lo studente le imparasse e “le abitasse”.

Un’altra grande affermazione:

l’apprendimento e l’insegnamento del signor Iyengar erano interamente euristici.

Questa è una parola in cui devo essermi imbattuta quando qualcuno stava scrivendo del signor Iyengar, fece un commento sul tipo di conoscenza medica che egli aveva, come euristica e il modo in cui lo scrisse mi ha diede l’impressione che fosse un po’ accennata. Non so se qualcun altro qui si è imbattuto in una parola così strana come euristico, ma vi darò solo poche righe che riguardano qualcosa che ho trovato in Google sulla sua definizione. Dunque, euristico deriva dalla parola greca che significa scoprire. Permettere ad una persona di scoprire o imparare qualcosa per conto suo.

È un approccio interattivo all’apprendimento.

Questo è il suo significato. In altre parole, non è per indagine e dissezione e analisi. Quindi qualsiasi approccio o scoperta di sé che impiega un metodo pratico, non necessariamente ottimale o perfetto o razionale, ma sufficiente a raggiungere quel particolare obiettivo, è euristico.

Come metodo di insegnamento, quello del signor Iyengar era sicuramente euristico ed è molto chiaro che questo è il metodo con cui egli stesso aveva imparato, non solo dal suo guru, T. Krishnamacharya ma anche da se stesso. Infatti una volta lasciata Mysore, aveva solo se stesso. Egli era l’insegnante di se stesso. Come metodo d’insegnamento è euristico il modo tramite cui si permette allo studente di imparare da solo, piuttosto attraverso qualcosa che gli viene inculcato. La mia esperienza nella classe di terapia è venuta fuori interamente attraverso quel processo euristico. Stavo letteralmente lì a tenere una coperta in mano senza essere sicura se gli studenti la volessero sotto la testa o da qualche altra parte, perché non ci veniva detto. Si veniva valutati come studenti, mentre qui si passa attraverso esami e valutazioni, là si valutava se si aveva la sensibilità di sapere dove dovesse essere messa la coperta. Sensibilità che avevi sviluppato attraverso la tua pratica personale! Potevi osservare lo studente e capire dove fosse la sua necessità.

Mi sono occorsi 20 anni, ma noi preferiamo un processo molto più veloce. Vogliamo qualificarci/certificarci in 5-6 anni.

 

Parlerò un po’ più avanti di ciò che manca e di ciò che potrebbe essere utile imparare, a parte il modo in cui lo facciamo. Quindi, la qualità della conoscenza euristica non è stata l’unica influenza di BKS Iyengar in termini di terapia yoga. Anche il suo guru esercitava terapia yoga. Il suo guru era un praticante di Ayurveda ed era molto abile ed erudito. Inoltre il signor Iyengar, non fece esperienza solo attraverso l’Ayurveda, attraverso il suo guru e la terapia yoga (infatti il signor Krishnamacharya aveva effettivamente lavorato nel Palazzo di Mysore con la famiglia reale e con il personale, prima che finisse la stirpe dei maharaja). B.K.S. Iyengar da giovane fu invitato al Surgeon General dell’India per viaggiare con il generale V. V. Gokhale, mentre il signor Gokhale spiegava in termini medici gli effetti degli āsana egli ne dava la dimostrazione. Il signor Iyengar fu uno studente incredibilmente veloce. Diceva sempre qualcosa di molto intelligente. Una volta disse: “Sono un allievo, sono un buon allievo, anche se non un principiante”. Ha sempre avuto una grande perspicacia.

Il viaggio con il signor Gokhale durò qualche tempo e non so quanto egli abbia imparato in termini di approccio medico o di modello medico, ma sicuramente capì che vi era una relazione e un’interazione tra lo yoga e la medicina.

E il signor Iyengar, per tutta la sua vita, fu molto interessato che vi fosse questo dialogo tra le due materie. Ha voluto dialogare con la medicina moderna per anni sullo yoga, sui benefici dello yoga, ma nel cercare di parlare, nel cercare di farsi ascoltare, è stato inevitabile che finisse per usare la lingua che la medicina moderna o la medicina di allora potesse capire. A volte ha dovuto inquadrarlo in una terminologia medica. Sono stata lì quando lui … Ovviamente sapeva molto.

 

Iyengar leggeva molto. Conosceva i nomi di tutti i muscoli, legamenti e nervi, quale viene da dove. Conosceva tutte queste cose. Le studiava. Aveva libri di anatomia nella sua biblioteca. Qualsiasi libro che arrivava nella sua biblioteca lo leggeva. Così, conosceva bene la terminologia medica e le relazioni. In qualche modo egli ha sempre preferito che ci fosse un dialogo tra le due discipline, ma era frustrante che tutto dovesse riferirsi a termini medici. Non vi era forse la capacità di vedere le cose in termini di yoga. È un condizionamento che proviene da lui stesso.

 

Dunque, abbiamo avuto questa situazione in cui il modello medico si è insinuato e ha influenzato il nostro sistema di terapia yoga. Non è una cosa così negativa. Ci sono alcuni posti… posso ricordare, whoa (!), ormai 25-27 anni fa, il mio primo incarico di insegnamento in un centro di promozione della salute annesso ad un ospedale di Marickville. Ora, non so se l’ospedale di Marickville sia ancora aperto. No, non lo è. Li c’era un centro di promozione della salute. Si facevano programmi ad esempio per smettere di fumare, per la consapevolezza delle malattie sessualmente trasmissibili, varie cose sulla salute con cui sviluppavano programmi per raggiungere il pubblico. E si offrivano nella struttura lezioni di yoga. Già. Organizzavano queste lezioni di yoga, quella fu la mia primissima esperienza come insegnante; stavo lì nel mezzo di una stanza e insegnavo, non avevo mai fatto un corso formale di formazione per insegnanti. Il mio insegnante mi ha dato un numero di telefono e mi ha detto: “Penso che dovresti insegnare, chiama queste persone”.

È così che ho iniziato. Così, sono partita e ho iniziato ad imparare a insegnare, ho dovuto affrontare il problema di cercare di insegnare a quelle persone. Questo è molto simile a quello che è successo al signor Iyengar quando è arrivato a Pune. Ha insegnato a se stesso come fare la terapia yoga trattando con le persone che venivano da lui. Doveva solo superare quel problema. Doveva solo trovare un modo, penso di averlo già detto. Era un metodo completamente euristico.

Quindi, ora abbiamo questa situazione in cui ciò che si è infiltrato molto nella terapia yoga è il modello medico e un po’ il desiderio di ottenere qualcosa che appaia come quello. C’è molta ricerca che continua in questo senso. So che recentemente qualcuno mi ha chiesto se ero a conoscenza di qualche ricerca recente che desse prova dell’efficacia dello yoga ‘Iyengar per differenti condizioni cliniche. Così, li ho indirizzati a qualcuno che ha un’enorme compilazione di file pdf, ma questo è un po’ il problema che affrontiamo ed è la necessità di avere delle prove, la medicina è basata su prove e il processo di yoga è basato sul processo in sé. Non è basato sull’evidenza. Si può arrivare ad avere alcune prove nel processo dello yoga ma non è in realtà un’immagine giusta dello yoga o della terapia yoga.

Sono solo le parti che si possono guardare che sono state evidenziate, tuttavia come la persona descriverebbe la propria esperienza e come descriverebbe il cambiamento che lo yoga gli ha apportato non può essere evidenziato in un file pdf ed è questo aspetto che è davvero la chiave di tutto lo yoga, per non parlare della terapia yoga. E se di fatto c’è una trasformazione effettiva, se è un cambiamento che arriva, perché è questo ciò che accade a tutti, non solo agli studenti di terapia yoga ma in generale agli studenti di yoga, attraverso la pratica dello yoga, essi fanno l’esperienza di scoprire che la loro vita è cambiata, che aspetti essenziali della loro vita emotiva, le loro relazioni con le persone, il modo in cui gestiscono lo stress, tutto inizia a cambiare. In realtà. uno dei problemi della ricerca sulla terapia yoga è che si fanno ricerche su cose come la variabilità della frequenza cardiaca e la si va a tracciare su un grafico.

Ci vorrà del tempo prima che le due lingue possano incrociarsi. Sì, ma…, ora non voglio gettare discredito sulle scienze mediche. In questo momento sto indossando un tutore alla caviglia e alcuni di voi potrebbero avermi visto camminare con le stampelle. In questo momento, sono io stessa un soggetto sottoposto alle scienze mediche perché ho a che fare con una ferita molto antica che dev’essere sistemata e per farlo ho bisogno dell’abilità e della fraternità dei medici. Ho lavorato 30 anni nello yoga, ma ho una situazione con un’articolazione così artritica che sta collassando. Quindi, faremo qualcosa al riguardo.

Ok, allora voglio entrare nel merito, vi ho già detto un paio di cose. Una di queste è kauśalam, sì, l’abilità. E questa abilità è una cosa molto accattivante. Abbiamo tutti l’idea di qualcuno che sia molto abile, un virtuoso del violino ad esempio, come Yehudi Menuhin.

Come il signor Iyengar in alcune di quelle posizioni avanzate, quella qualità che vediamo quando pratica, il suo virtuosismo. Il virtuosismo che molte persone scoprono quando assistono a ciò ha una qualità molto affascinante e, come ho detto, questa è, è stata la prima cosa che mi ha ammaliata e poi il modo in cui il signor Iyengar ha effettivamente lavorato.

Il signor Iyengar per molti motivi è piuttosto noto, soprattutto quando presentava sul palco o insegnava davanti ad un grande pubblico. La sua personalità occupava l’intera stanza, ogni singolo spazio di essa. Occupava quella stanza, teneva le persone inchiodate in quella stanza. Spesso, quando mi trovavo ad assistere uno dei suoi pazienti, uno dei pazienti con cui lavorava, mi sono resa conto, lavorando vicino a lui, che spesso quello che faceva era canticchiare fra sè e sé. Non voleva per niente dare mostra di sé, canticchiava, tra sé e sé, aveva una qualche melodia in testa ed era in contatto con quella mentre lavorava con i pazienti. Era in contatto con chissà quale melodia, mi ricordo una volta che aveva subito un intervento di cataratta e andava in giro con degli occhiali scuri e poteva praticare solo alcune posizioni. Sapete, il giorno dopo l’operazione di cataratta si avvicinò con un lettore di musica ed era musica carnatica religiosa ed era… oh Signore! sparata a tutto volume nella sala della pratica. È uno stile di musica diverso da quello a cui siamo abituati. Siamo abituati alle armonie e ai ritmi. La musica carnatica religiosa… whoa! Ma lui era ovviamente molto preso dalla musica, amava la musica. Amava i canti religiosi e i mantra. A volte cantava sottovoce quando si esercitava. Molto silenziosamente. Non aveva niente a che fare con la grande personalità di cui sentiamo parlare. Una delle cose di cui sono stata testimone, in cui mi sono imbattuta, era che quando si lavorava vicino a lui, lo sentivi canticchiare. Canticchiava tra sé e sé non forte, a bassa voce. Lavorava con una sensibilità interiore. Ecco da dove veniva quella melodia, qualunque cosa fosse. Era come se cantasse qualcosa con cui era in contatto dentro di sé, mentre lavorava con lo studente.

Non stava tecnicamente leggendo una lista; non parlava tanto di spostare questo arto qui o aggiustare quell’arto lì. Lavorava spesso in silenzio, senza parole, e canticchiava finché non doveva dire qualcosa come: ” Portami …”. E ogni volta che dava un’istruzione del genere, quando lavorava come terapeuta, in realtà non si trattava nemmeno di prendere un attrezzo. Lui diceva: “asse inclinato”. Tutto qui. Dovevi andare, dovevi sapere che cosa, che tipo di asse probabilmente volesse e lavorando con lui, ci si aspettava che tu avessi la sensibilità necessaria per capire esattamente quale asse, perché c’è una notevole varietà di assi inclinati tra cui si può scegliere. Era con questa qualità interiore che egli lavorava sempre.

Vi dirò un’altra cosa: c’è un grande aspetto nel lavoro della terapia yoga che è ‘liminale’, non subliminale. Non sto parlando di sentire una voce interiore che sale dalla coscienza, la parola liminale significa…. anzi la leggo: la parola liminale significa – “relativo ad uno stadio transitorio del processo, o anche iniziare un processo o occupare una posizione su entrambi i lati di un confine o di una soglia’”. Quindi, liminale è questa qualità con cui stiamo lavorando, sempre ai confini o sulle soglie. E nell’impartire un āsana o un adattamento di un ‘āsana a uno studente, lo stiamo portando, si spera, oltre quella soglia. Al di là di quella soglia in cui egli si trova per fare l’esperienza di assimilare qualcosa per il suo benessere.

Cominciano a sentire un cambiamento. Cominciano a sentire, forse, che le vie respiratorie sono più fresche e più aperte. Questi cambiamenti e trasformazioni avvengono continuamente nello yoga e sono vitali quando si tratta di terapia yoga. Mi ricordo di una volta, scendendo da Śirṣāsana, (stavo facendo una lezione pomeridiana dove si tenevano le posizioni più a lungo rispetto alla classe generale) che scendendo tranquillamente da quella posizione, andavo poi verso la finestra e semplicemente stavo lì ad osservare fuori. Mi ci son voluti anni… mi ci son voluti anni per scoprire una cosa: che dopo Śirṣāsana godevo di una vista nitida! Questa cosa mi ha dato un’enorme intuizione su ciò che possa accadere e non solo ai miei occhi. Noi assegniamo delle indicazioni per certe condizioni, ma quel Śirṣāsana trasformava i miei occhi, trasformava anche le mie orecchie, avevo questo senso di lucidità e allo stesso tempo ero completamente immobile.

Quindi, essere un insegnante di yoga, essere un terapista yoga significa fornire questi cambiamenti allo studente. Ora, ovviamente, come tutti saprete, una persona che arriva nella classe di terapia forse ha un problema particolare. Forse soffre di diabete o forse si è strappata un legamento del ginocchio o forse ha un disturbo a un motoneurone. O un semplice mal di schiena. Collo, ginocchia, spalle. Spesso riempiono una classe di terapia. Già. Ma è quasi come se… è quasi come se la persona avesse bisogno di ricevere lo yoga in un modo che lo possa accettare in quel momento.

In altre parole, pensiamo ad esempio a qualcuno che soffre di asma: l’asma ha bisogno di posizioni impartite in un modo preciso o scelte tra quelle più favorevoli a quella condizione. Già. Più efficaci possibile per quella condizione, in modo che prima di tutto la persona senta un alleviamento dal disagio, poi la sensazione di soddisfazione da quell’alleviamento che apre a sua volta la capacità di sperimentare effettivamente dentro se stessi uno stato di cambiamento.

Quindi, se si può fare qualcosa come aprire le vie respiratorie di qualcuno che sta boccheggiando perché le vie respiratorie gli si stanno chiudendo, o perché ha una reazione allergica, non si tratta di sdraiarsi sul cuscino e aprire il torace. Se lo sapete, se avete studiato come si aprono le vie respiratorie…. quando ci si sdraia su un cuscino e si apre il torace, i muscoli intercostali non possono muoversi, non si può respirare facilmente, liberamente. Si deve dare la possibilità di fare esperienza di quella libertà, è il portare la persona effettivamente attraverso quella soglia in modo che possa sperimentare il suo stesso essere. In altre parole, deve poter sperimentare che lo sforzo e la fatica nel respirare si sono alleggeriti.

 

Non si tratta solo di un processo tecnico, è il cambiamento emotivo che subentra a seguito del miglioramento da quello stato, questo non è cosa da poco. Qualcuno può soffrire di emicrania, un altro prova dolore alle ginocchia ogni volta che cerca di sedersi con le gambe piegate. Quando in questi casi le persone acquistano la fiducia che effettivamente esiste il modo di alleviare il dolore, che c’è un modo di sedersi con le gambe piegate senza sentir male, nel fare questo percorso, guidati nel modo giusto, si ottiene un’esperienza diretta. Lo so per esperienza personale.

Quando risolvo un problema, quando ho un problema e potrebbe essere un ginocchio o un’anca e lo risolvo, ho il giusto approccio, la gioia. Sì. La gioia, la liberazione dal dolore e la sua conseguenza. Questo è ciò che la gente sperimenterà. Questo è il vero significato della terapia yoga. Fare

terapia yoga non è diventare un fisioterapista d’élite. I fisioterapisti sono molto ben formati e molto preparati. Non nutro dubbi in merito, ho incontrato alcuni di loro quando sono uscita dall’operazione al piede destro, la fisioterapia mi ha aiutata. Era molto interessante, le tecniche e i metodi che loro conoscevano. Come terapista yoga, non vorrei essere in alcun modo un fisioterapista o uno psicologo. Ho sperimentato una trasformazione che avviene attraverso la pratica degli āsana e del praṇāyāma attraverso i miei problemi fisici per sapere che quella sensazione, quel cambiamento avvengono quando sperimenti il passaggio dalla sofferenza o dolore al sollievo. La fiducia, ltutte e possibilità che ti si aprono una volta che ci arrivi, è un’esperienza molto reale in cui le persone impareranno a loro volta ad avere fiducia. Ma non puoi parlar loro in alcun modo di queste cose.

 

Dunque, di nuovo, queste sono le discipline. Non voglio assolutamente sminuirle, ma c’è una struttura unica che è disponibile attraverso la terapia yoga che spesso viene persa, viene persa perché confondiamo la bellezza della terapia yoga e cerchiamo di convertirla in qualcosa che è il modello medico. Come terapisti di yoga, siamo destinati a fare la stessa cosa come qualsiasi insegnante di yoga. Introduciamo le persone al loro corpo, al loro respiro, alla loro mente, al loro sentire. Li stiamo introducendo al gusto di se stessi. Li stiamo introducendo al cambiamento della loro forma interiore, il senso di se stessi che esiste dentro, li stiamo introducendo a questo.

Liberiamo i vincoli o gli ostacoli che impediscono loro di praticare, di imparare. L’ostacolo maggiore che molte persone devono superare è la malattia, è il primo. È il principale, che impedisce alle persone di avere quell’esperienza che è proprio sulla soglia del loro sé esterno e del loro sé interno. Quando sentono quel cambiamento in quel senso di benessere interno, allora hanno sperimentato un cambiamento nella forma del sé. E questo è l’attributo unico dello yoga! Come terapisti yoga, questa è la cosa in cui stiamo diventando sempre più abili.

Bene, penso che questo sia tutto quello che voglio dire per oggi. Potrei continuare per un’altra ora, ma non lo farò.

Spero che abbiate seguito quello che stavo cercando di trasmettere nel mio messaggio. –

 

Stephanie Quirk

 

traduzione a cura di Luigia Bertelli

 

Note

[1] Bg. 2.50
बुद्धियुक्तो जहातीह उभे सुकृतदुष्कृते ।
तस्माद्योगाय युज्यस्व योगः कर्मसु कौशलम् ॥ ५० ॥
buddhi-yukto jahātīha
ubhe sukṛta-duṣkṛte
tasmād yogāya yujyasva
yogaḥ karmasu kauśalam

50. Per colui che in questo mondo possiede la vera consapevolezza, in realtà non esistono più né il bene né il male.